
Ogni luogo, ogni momento e ogni persona hanno sempre una grande storia da raccontarti
Il primo passo di ogni viaggio è il desiderio che abbiamo tutti di ascoltare una bella storia
Lo storytelling al tempo del turismo
Ogni turista fa storia a sé, naturalmente, e tuttavia sono molte le categorie che possono “taggare” in modo statistico le persone. In comunicazione, compresa quella turistica, le classi di categorizzazione sono davvero infinite, da comportamenti in rete e la predilezione ai viaggi, al sesso e all’età, alla cultura acquisita e all’indole stagionale. Ciascuno di noi, in qualche modo, fa parte di questa “schedatura" e non c’è niente di male ad appartenere alla categoria di quelli che preferiscono il mare, piuttosto che la montagna, o il contrario.
Vedere, sentire o anche altro
Due delle principali categorie evolute in comunicazione sono quelle descritte dalla PNL, che raggruppano le persone in prevalentemente “visive”, vicine al concetto dell’immagine, della percezione spaziale e immediata, e prevalentemente “auditive”, legate al concetto del suono, del tempo e dello sviluppo progressivo. A parte, naturalmente, ci sarebbero i “cinestetici, per cui però la comunicazione sui mass media presenta ancora delle precise difficoltà.
“L’essenziale è invisibile agli occhi”
Si può essere più o meno d’accordo con questa citazione, perché la bellezza ama rivelarsi e sorprendere anche con la sola vista. Però non esistono luoghi senza storie da raccontare, e la capacità di entrare in contatto con l’essenza delle cose, la storia e le motivazioni che hanno creato il presente, è uno strumento fortissimo di comprensione, coinvolgimento e partecipazione. Può trasformare il bello in interessante e l’interessante in meraviglioso, è in grado di creare relazioni anche nella memoria e nell’immaginazione, scuotono l’attenzione e appagano la curiosità. In poche parole, completano in modo coerente l’esperienza del viaggio o del soggiorno. Storytelling come tecnica
Ogni turista fa storia a sé, naturalmente, e tuttavia sono molte le categorie che possono “taggare” in modo statistico le persone. In comunicazione, compresa quella turistica, le classi di categorizzazione sono davvero infinite, da comportamenti in rete e la predilezione ai viaggi, al sesso e all’età, alla cultura acquisita e all’indole stagionale. Ciascuno di noi, in qualche modo, fa parte di questa “schedatura" e non c’è niente di male ad appartenere alla categoria di quelli che preferiscono il mare, piuttosto che la montagna, o il contrario.
Vedere, sentire o anche altro
Due delle principali categorie evolute in comunicazione sono quelle descritte dalla PNL, che raggruppano le persone in prevalentemente “visive”, vicine al concetto dell’immagine, della percezione spaziale e immediata, e prevalentemente “auditive”, legate al concetto del suono, del tempo e dello sviluppo progressivo. A parte, naturalmente, ci sarebbero i “cinestetici, per cui però la comunicazione sui mass media presenta ancora delle precise difficoltà.
“L’essenziale è invisibile agli occhi”
Si può essere più o meno d’accordo con questa citazione, perché la bellezza ama rivelarsi e sorprendere anche con la sola vista. Però non esistono luoghi senza storie da raccontare, e la capacità di entrare in contatto con l’essenza delle cose, la storia e le motivazioni che hanno creato il presente, è uno strumento fortissimo di comprensione, coinvolgimento e partecipazione. Può trasformare il bello in interessante e l’interessante in meraviglioso, è in grado di creare relazioni anche nella memoria e nell’immaginazione, scuotono l’attenzione e appagano la curiosità. In poche parole, completano in modo coerente l’esperienza del viaggio o del soggiorno. Storytelling come tecnica
Come funziona lo storytelling?
Si tratta, al tempo stesso di una strategia, con una sua tecnica anche complessa, che può diventare mimetica in relazione al target con il quale si sta parlando ma, naturalmente, è impossibile mentire in modo efficace. La sincerità dovrebbe essere la parola d’ordine e l’intensità della persona che racconta deve sentirsi in qualche modo distintamente.
Qualunque scelta faremo, in termini di stile, qualità e quantità di informazioni, ci andremo a posizionare chiaramente in direzione di un target piuttosto preciso, vicino alla nostra sensibilità e a quella del luogo da “raccontare”, intercettando il desiderio di essere informati e coinvolti. Il potere dell’immedesimazione, fondamentale in ogni esperienza narrativa, è identico anche in questo specifico “genere letterario”.
Storytelling come relazione
A cosa serve quindi lo storytelling?
Raccontare significa preparare: inquadrare il punto di vista storico, se necessario, descrivere come e perché le persone che vivono o sono passate da un luogo hanno compiuto le loro scelte, cosa c’è alla base dell’esistente.
Raccontare significa indicare: sottolineare il punto di vista migliore, con la libertà di sceglierne altri, descrivere l’evoluzione attuale di una percorso, la forma della presenza, della contemporaneità, il piacere del momento colto nella sua interezza.
Raccontare significa ricordare, associando le immagini alle azioni, ricostruire l’esperienza individuando i punti e i temi essenziali, individuare il fattore che rende unico ogni luogo.
Lo Storytelling, nella sua natura, sfrutta l’esperienza di altri, soprattutto del passato, ma cercando una chiave di lettura al tempo stesso personale e collettiva, e in ogni caso sempre nuova. L’obiettivo è stimolare l’immaginazione, evocare emozioni, itinerari, luoghi, ma anche cose, oggetti, alimenti, odori, che poi saranno colti sul luogo, ma anche persone, attitudini, e, in una parola, cultura. Ovvero, scoprire il piacere di scendere sotto la superficie delle cose, ed espandere il piacere del racconto, una delle leve più importanti di ogni gruppo sociale, di ogni tempo e di ogni parte del mondo.
Si tratta, al tempo stesso di una strategia, con una sua tecnica anche complessa, che può diventare mimetica in relazione al target con il quale si sta parlando ma, naturalmente, è impossibile mentire in modo efficace. La sincerità dovrebbe essere la parola d’ordine e l’intensità della persona che racconta deve sentirsi in qualche modo distintamente.
Qualunque scelta faremo, in termini di stile, qualità e quantità di informazioni, ci andremo a posizionare chiaramente in direzione di un target piuttosto preciso, vicino alla nostra sensibilità e a quella del luogo da “raccontare”, intercettando il desiderio di essere informati e coinvolti. Il potere dell’immedesimazione, fondamentale in ogni esperienza narrativa, è identico anche in questo specifico “genere letterario”.
Storytelling come relazione
A cosa serve quindi lo storytelling?
Raccontare significa preparare: inquadrare il punto di vista storico, se necessario, descrivere come e perché le persone che vivono o sono passate da un luogo hanno compiuto le loro scelte, cosa c’è alla base dell’esistente.
Raccontare significa indicare: sottolineare il punto di vista migliore, con la libertà di sceglierne altri, descrivere l’evoluzione attuale di una percorso, la forma della presenza, della contemporaneità, il piacere del momento colto nella sua interezza.
Raccontare significa ricordare, associando le immagini alle azioni, ricostruire l’esperienza individuando i punti e i temi essenziali, individuare il fattore che rende unico ogni luogo.
Lo Storytelling, nella sua natura, sfrutta l’esperienza di altri, soprattutto del passato, ma cercando una chiave di lettura al tempo stesso personale e collettiva, e in ogni caso sempre nuova. L’obiettivo è stimolare l’immaginazione, evocare emozioni, itinerari, luoghi, ma anche cose, oggetti, alimenti, odori, che poi saranno colti sul luogo, ma anche persone, attitudini, e, in una parola, cultura. Ovvero, scoprire il piacere di scendere sotto la superficie delle cose, ed espandere il piacere del racconto, una delle leve più importanti di ogni gruppo sociale, di ogni tempo e di ogni parte del mondo.
Dallo Storytelling allo Storybuilding
Osservare, ascoltare, creare. Come storyteller, il nostro punto di vista è unico e il nostro obiettivo è che ciascuno associ la propria sensibilità al luogo che ha visitato, o che desideri visitare, e che senta il desiderio di aggiungere la propria opinione, qualcosa che altri non hanno visto o percepito, e che incrementi la “story” che noi abbiamo proposto inizialmente.
La storia collettiva diventa così infinitamente più aperta, suggestiva, ampia, con nuovi contenuti, come nuove sono le persone e nuovi sono “gli occhi” - e anche gli altri sensi - che scoprono le destinazioni più o meno turistiche. Il nostro obiettivo come storyteller è che ciascuno dei visitatori abbia l’opportunità, se desidera, di “generare contenuti” nuovi e che li diffonda, in tempo reale attraverso lo strumento dei propri social network.
Un messaggio forte e delicato
L’appeal di questi contenuti originali e autonomi ha un’affidabilità favolosa, e nessuno è in grado essere testimonial credibile di una belle esperienza di viaggio quanto il viaggiatore testimonial di sé stesso, sempre in prima persona, mentre condivide le proprie emozioni. Il “passaparola”, il cosiddetto “viral effect”ha un potere e una profondità sempre straordinaria.
Naturalmente, lo “storytelling”, di professionisti o “user generated” deve riflettere i valori oggetti presenti e non può in alcun caso trasformare una cattiva esperienza – dalla scortesia a servizi sotto le aspettativa – in un elemento positivo. Anzi, sarà il volano per convogliare il malumore e l’insoddisfazione nei canali piuttosto sensibili dei social media, che sono certo influenzati dall’esperienza diretta e positiva, ma sono drastici e decisi quando le cose non vanno bene per colpa nostra, per un disassamento fra le aspettative dell’ospite o del turista e le promesse contenute nella “story”.
Osservare, ascoltare, creare. Come storyteller, il nostro punto di vista è unico e il nostro obiettivo è che ciascuno associ la propria sensibilità al luogo che ha visitato, o che desideri visitare, e che senta il desiderio di aggiungere la propria opinione, qualcosa che altri non hanno visto o percepito, e che incrementi la “story” che noi abbiamo proposto inizialmente.
La storia collettiva diventa così infinitamente più aperta, suggestiva, ampia, con nuovi contenuti, come nuove sono le persone e nuovi sono “gli occhi” - e anche gli altri sensi - che scoprono le destinazioni più o meno turistiche. Il nostro obiettivo come storyteller è che ciascuno dei visitatori abbia l’opportunità, se desidera, di “generare contenuti” nuovi e che li diffonda, in tempo reale attraverso lo strumento dei propri social network.
Un messaggio forte e delicato
L’appeal di questi contenuti originali e autonomi ha un’affidabilità favolosa, e nessuno è in grado essere testimonial credibile di una belle esperienza di viaggio quanto il viaggiatore testimonial di sé stesso, sempre in prima persona, mentre condivide le proprie emozioni. Il “passaparola”, il cosiddetto “viral effect”ha un potere e una profondità sempre straordinaria.
Naturalmente, lo “storytelling”, di professionisti o “user generated” deve riflettere i valori oggetti presenti e non può in alcun caso trasformare una cattiva esperienza – dalla scortesia a servizi sotto le aspettativa – in un elemento positivo. Anzi, sarà il volano per convogliare il malumore e l’insoddisfazione nei canali piuttosto sensibili dei social media, che sono certo influenzati dall’esperienza diretta e positiva, ma sono drastici e decisi quando le cose non vanno bene per colpa nostra, per un disassamento fra le aspettative dell’ospite o del turista e le promesse contenute nella “story”.